LA SCOMPARSA DI FABRIZIO ZICARI
Submitted by redazione on Tue, 20/05/2014 - 15:12
"Non sono poeta d'amore, di sguardi, di nostalgia, di pace, non sono poeta di rima, di forma , di libri, di gare, di premi, non sono poeta di metrica, di storia, di rancore, soltanto non sono poeta . Vivo di poesia, questo si, con quel che resta di colore sulla tavolozza degli acquarelli." Fabrizio Zicari
Mio figlio Francesco mi invia la foto che vedete sopra e mi dice: " Ricordiamo Fabrizio?"
Certo, ricordiamolo. Lo facciamo attraverso alcune testimonianze pubblicate su Facebook.
VINCENZO CAMPO
Ieri mattina, la mattina del 15 maggio di questo 2014, al risveglio ho trovato un messaggio di Lilly Iacono della sera prima, arrivato quando io ero già a letto. Diceva, laconico: “Siamo più soli, Fabrizio…”, e come è facile capire, la tragedia del breve messaggio stava nei punti di sospensione, nel non detto.
Fabrizio, tre punti, e basta. Incredibile. La notizia, in qualche modo attesa, mi appariva tuttavia ugualmente incredibile, inattuale, non pensata per oggi.
Avevo incontrato Fabrizio, di recente, un paio di volte, e la prima di queste confesso d’essermi trovato in imbarazzo perché sapevo della sua malattia e non sapevo se dirne, se parlarne o no. Rideva, scherzava, come sempre, e intercalava quel suo chiedere “come?” che gli serviva solo a prendere tempo quando aveva capito perfettamente. M’infastidiva un po’ quel suo “come?” che non gli serviva per sapere e tuttavia nel contempo mi stimolava un sorriso di simpatia per lui che non so se si manifestava sulle mie labbra o se mi restava dentro, nell’anima o nel cuore.
Mi tolse lui dall’imbarazzo e mi disse della sua malattia, in tono piano, e sorridendo, di tanto in tanto, come se parlasse di cosa di poco conto, coi suoi soliti “come?” alle mie richieste di chiarimenti. Prendeva in giro la malattia, mostrava di non voler farsi sovrastare da lei. In qualche modo mi aveva rassicurato e non m’aspettavo proprio che la situazione precipitasse così in fretta.
Era mattina presto, quando ho letto quel messaggio, e sono uscito, come faccio da un po’ di tempo, per una camminata per la campagna, qui nella Valle dei Templi, coi miei due cani, felici di farmi compagnia. Non ho acceso la radio, come faccio di solito per ascoltare le notizie dal mondo e poi la lettura dei giornali; volevo camminare solo da solo, coi miei pensieri, in un silenzio rotto soltanto dal verso fastidioso di qualche cornacchia o dall’abbaiare del mio bassottino quando insegue qualche coniglio.
Non potevo non pensare a Fabrizio, al suo gusto per il paradosso, alla sua allegria direi congenita, alla voglia che aveva di ridere e divertirsi, senza mai eccedere, con garbo ed eleganza. Pensavo ad una delle sue ultime provocazioni: quella di spostare la Cattedrale in un altrove che non ne mettesse a rischio la stabilità, ben consapevole dell’impossibilità della cosa e divertito per avere scandalizzato un uditorio seriosamente preoccupato. Ma soprattutto pensavo al fatto che era andato via, e per sempre, uno dei protagonisti di un grande sogno che fu collettivo e generazionale, ma che fu soprattutto nostro, di quello sparuto gruppo, qui ad Agrigento, che pensava che fosse possibile cambiare radicalmente il mondo.
Era andato via, e per sempre, uno di quelli, pochi, rimasti a pensare che fosse ancora e veramente possibile cambiare il mondo; che fosse possibile avere rapporti franchi e autentici con le persone, che fosse possibile, in qualche modo, praticare l’utopia.
Mi sono seduto su un masso, con Leon, il mio grosso corso, che mi si è fermato accanto, seduto anche lui, quasi consapevole della gravità del momento che stavo vivendo. Ho trattenuto un groppo che avevo alla gola e ho continuato a pensare all’amico che se n’era andato, sorridendo al solito suo, quasi che il suo andarsene fesse uno dei suoi paradossi, o delle sue boutade, delle sue provocazioni. Ma era vero che se n’era andato e ancora più vero che non sarebbe più tornato. Questa volta non era una boutade; forse un paradosso, ma non una boutade..
Se n’è andato, ma, sono certo, non lo dimenticherò mai, perché la sua mancanza è una vera perdita per tutta la città; la perdita, per dirla con le sue parole, di quel non poeta che viveva di poesia con quel poco colore che rimane sulla tavolozza degli acquarelli dopo che si è finito di dipingere.
GIOVANNI TAGLIALAVORO
Fabrizio, mezzo secolo di amicizia profonda, di condivisione di speranze, illusioni e di ripiegamenti. Col sorriso sempre pronto a dare le giuste proporzioni alle cose. L'ho visto lo scorso febbraio alla presentazione del libro di Stefano Vivacqua. E mi fece cenno sorridendo alla malattia. Nulla che mi facesse capire la sua gravità. Mi mancherai. Mancherai a tuoi figli a tua moglie e ai tanti amici che hai avuto e saputo coltivare.
GAETANO SIRACUSA
Senza parole. Avrei voluto usarle prima: gli abbiamo voluto bene in tanti, e per quanto mi riguarda temo di non averglielo manifestato abbastanza.
ANGELO CAPODICASA
Ieri si sono svolti ad Agrigento i funerali di Fabrizio Zicari. Si era spento nella serata di mercoledì, dopo una malattia inesorabile dall'evoluzione rapidissima. Ero andato a trovarlo domenica sera, avevamo chiacchierato di politica e delle prossime elezioni. Voleva da me dei pronostici elettorali. Gli avevo fatto qualche ipotesi ed avevamo ragionato assieme. Si vedeva già che la malattia lo aveva fiaccato; lui, sempre così vitale, durante i pochi minuti di conversazione, ogni tanto, aveva dei cedimenti. Non appariva, però, così prossimo a lasciarci. Ci eravamo conosciuti a scuola, liceo classico Empedocle. E da allora ci siamo sempre frequentati per motivi politici o per motivi professionali. Era il mio otorino di famiglia. Insieme ad altri organizzammo il movimento studentesco nel 1968, insieme ad altri amici e compagni demmo vita ad un movimento che ebbe una propria originalità e segnò per tanti giovani l'ingresso in politica. Solo alcuni mesi fa', discutendo di quel periodo, lamentava che si fosse lasciato passare il 45* anniversario (che cadeva nel 2013), senza che si tenesse un incontro pubblico per riflettere su quegli anni e su quel movimento. Mi giustificai dicendo che ci avevamo provato, ma che per vari motivi non era stato possibile organizzarlo. Ed avevo anche aggiunto, un po' scherzando, che avremmo potuto rifarci nel 2018, allo scadere dei cinquant'anni, organizzando qualcosa con i protagonisti di allora. Bisognerà che lo si faccia, anche per ricordare Fabrizio, quel liceale bene in carne, sempre allegro e gaudente, rimasto tale anche da grande. Per ricordare il bravo medico, l'amministratore e l'amico di tutti, pieno di umanità e sentimento che da lì, da quel movimento, aveva visto nascere, come per tanti, la passione per la politica.
GIANDOMENICO VIVACQUA
Amici, malgrado il vostro calore, lo confesso, è stato un compleanno mesto. Il mio amico Fabrizio Zicari ci ha lasciati tre giorni fa. Io sono lontano, nel tempo e nello spazio, se così posso dire, e non ho potuto essergli vicino negli ultimi suoi giorni, né abbracciare la sua monumentale sposa e suoi dolcissimi figli. Prima di partire, molti mesi fa, ho fatto in tempo ad accompagnarlo al suo primo esame universitario, il primo della sua seconda vita accademica, si capisce. A suo agio brillante e fraterno tra le matricole del corso di Laurea in Conservazione dei Beni Culturali, ha sostenuto l’esame di Antropologia del mondo antico con la sua solita verve il suo consueto entusiasmo. Mentre discettava vivacemente di miti fondativi e di koinè mediterranea, con sicurezza ma senza alcun sussiego,il professore assentiva compiaciuto con gravi cenni del capo pensoso e i suoi giovani colleghi lo guardavano ammirati, innamorati. Trenta, ovviamente. Ho amato Fabrizio come poche altre persone, per merito suo e non mio. Era facile volergli bene, perché con la sua natura orientata al bello e al bene colmava tutte le distanze, attenuava tutti i contrasti sopperiva a tutte le mancanze. Addio, Fabrizio, uomo di spirito, mai sazio di spirito. Averti conosciuto mi consola forse più di quanto mi disperi averti perduto. Così ancora una volta, per merito tuo, trascendo la mia umana mediocrità.
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