ARCHITETTURA E LINGUAGGI. COME TRADURRE IN PRATICA AMMINISTRATIVA IL BELLO? di Beniamino Biondi
Caro Davide,
Ho letto con molto interesse il tuo intervento che pone, e mi pone, ulteriori ed anche nuove ragioni di riflessione sul centro storico e sul dibattito che intorno a Terravecchia si tiene. Non entro nel merito in questa sede, solo per darmi tempo ed occasione di poterne scrivere meglio in seguito su Suddovest, ma mi interrogo sulla traduzione concreta di due passaggi tuoi che trovo assai stimolanti in termini di processi culturali e di sensibilità politica e civile. Mi riferisco al tema di un'etica dell'architettura - tema serio, che per me equivale al porre le ragioni dell’architettura come fattore riassuntivo del progetto di una parte della città-, e a tutto il tuo discorso sul linguaggio e la grammatica dell'architettura. Non ho dubbio che il linguaggio sia disposto come un sistema di segni e proprio il timore che tali segni siano snodati, irrelati da ogni contesto, pronubi a singoli interessi, mi pone in una disposizione d'animo per cui sento forte l'esigenza che si discuta con analisi serie e poi, improrogabilmente, con la proposizione di modelli reali di intervento e di nuova ipotesi di città. Mi chiedo dunque quale possa essere oggi una proposta amministrativa concreta che faccia anche della tua obiezione a Terravecchia (obiezione che è mia da tempo con te e tanti altri) un momento di rovesciamento non soltanto di certi paradigmi culturali ma anche di azioni di intervento amministrativo poco meditate e che possono darsi oggi a pretesto proprio di un imperativo politico sul recupero del centro storico nei termini di un corretto e laico (ma non ossessivamente poetico e libresco) risanamento conservativo.
Spero tu possa darmi una risposta sulla quale poterci ancora confrontare.
Beniamino Biondi