LA LUCE SOPRA DI NOI, IL GRIGIO NEI NOSTRI CUORI di Luigi Galluzzo

Le cose sono come i nostri stati d’animo. Se penso alla Sicilia, quando ci penso, penso ad un’isola dove predominano due colori: il giallo ed il grigio.

C’è qualcosa di splendido e angosciante nella luce abbacinante di quest’isola.

E’ il motivo per cui non puoi non amarla, ma è anche il motivo per cui senti sempre un certo disagio vivendoci.
La Sicilia è però anche molto grigia. Il grigiore è nel cuore stesso dei suoi abitanti, che vivono al chiuso, sembrano rifuggire i raggi del sole, hanno case con le tende sempre abbassate, le imposte sbarrate, come se la luminosità esterna fosse una minaccia.
Quello che sconvolge è come questi cromatismi non mutino con il mutare del tempo. Qui e ora la Sicilia è ancora più grigia e cupa, la sua luce ulteriormente disturbante, come se il contrasto nascondesse un’oscura minaccia, o fosse l’esteriorizzarsi di un carattere inossidabile.
Se ci pensiamo ogni epoca ha i suoi colori: il rinascimento italiano traboccava di colori scintillanti, il barocco di cromatismi sgargianti. Il fascismo è stato un periodo grigiamente noioso, dove il colore predominante era così spento da far sbadigliare; e i regimi comunisti erano di un grigio così cupo da far chiudere le palpebre per non morire dissanguati dalla cupezza di quel colore.
In Sicilia no, il grigio qui è solo un riflesso macabro della luce: non è un caso che molti edifici, molti balconi, ostentino teste di morti, scheletri ossidati, conservino ancora il gusto barocco per i segni macabri, li conservino dentro vecchi portoni e gli uni e gli altri siano coperti da quel velo grigiastro di smog che li rende quasi evanescenti. In Sicilia tutto è evanescente: evanescente è la mafia, che c’è e non c’è, esiste e non esiste, nel senso che sa rendersi invisibile, corrodere come un fantasma torbido, essere virus che aggredisce le cellule sane. Evanescente è il senso dello Stato, il senso del dovere, evanescente è l’etica, c’è e non c’è, evanescenti sono le strutture: evanescente è La Regione (e la Ragione), evanescenti sono i suoi sindaci come i suoi fiumi, che si ingrossano in inverno quando piove, se piove, e svaniscono con l’arrivo della primavera fino a farsi traccia indelebile, come i sindaci appunto, che svaniscono svanito il loro quinquennio senza lasciar traccia.
Tutto è nel segno dell’improbabilità: improbabili sono molti mestieri che facciamo, improbabili le strade che costruiamo, improbabili le rassegne turistiche e teatrali.
Si campa così, per campare.
Nascosti dietro tende scure, a protezione dello scirocco che infiacchisce, ingrigiti finanche nei capelli. Se attraversi la Sicilia in un pomeriggio d’estate, proteggendoti gli occhi con spesse lenti scure per non bruciarti la vista nel sole abbacinante, noti soltanto il deserto dei cuori nella gran calura, la gente se ne sta nascosta e inerte, un principio d’africa, un’immagine di morte. Se l’attraversi d’inverno quando la tramontana traditrice spazza i vicoli, noti le stesse persiane chiuse, lo stesso deserto di anime. In molti paesi non ci sono più giovani, emigrano come emigravano cinquanta anni fa. Nella luce o nella tramontana restano solo i vecchi e gli impiegati pubblici. Se mi chiedessero cosa si fa in Sicilia avrei difficoltà a rispondere.

 

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