SOGNANDO UN'ALTRA GIRGENTI di Giovanni Taglialavoro
Submitted by redazione on Mon, 23/03/2009 - 16:29
Arriviamo a Girgenti dal lato di Pescorocchiano di cui Girgenti è frazione. L'Appennino ha le cime innevate e i castagni sono tutti bruniti. Rivoli d'acqua scrosciano ai bordi della strada che si snoda contorta quasi come le radici affioranti degli alberi che la costeggiano. Abbiamo lasciato il lago del Salto giù a valle e risaliamo fino a 800 metri.
Ecco il cartello stradale annunciare 5,5 km per Girgenti. Ricordo quando ero piccolo di un cartello simile rimasto intatto, a dispetto del latinorum fascista, a Montaperto per indicare la direzione del capoluogo. Ho una certa emozione, indecifrabile. Cosa mi aspetta lassù, sullo sperone roccioso dove, forse mille forse ottocento anni fa, trovarono nuova vita e nuovi padroni alcune centinaia di girgentani che per ragioni a me misteriose lasciarono la Sicilia per insediarsi qui? Forse una foto di come eravamo una volta? Forse il deposito immacolato di uno spirito berbero condotto qui a espiare una irriducibile fede al Corano e una alterigia sprezzante verso i rozzi conquistatori normanni?
Se è vero che ancora i girgentani cucinano la cubaita, se è vero che sullo stipite del portale della chiesa parrocchiale di San Sisto vi è una segno, una scure, di chiara origine araba, allora mi debbo preparare a visitare un luogo di deportazione, di sofferenza e di nostalgia. Scriveva il poeta siculo- arabo esule lontano dalla sua Sicilia: ''Con nostalgia filiale anelo alla patria, verso cui mi attirano le dimore delle belle sue donne. E chi ha lasciato l'anima a vestigio di una dimora, a quella brama col corpo fare ritorno...Io anelo alla mia terra, nella cui polvere si son consumate le membra e le ossa dei miei avi... Vidi lì spuntar l'aurora della mia vita ed or, a sera, tu me ne vieti il soggiorno!'' (Ibn Hamdis).
L'ultima curva ed ecco davanti a noi il palazzo Iacobelli, signore del luogo da sei secoli, di origine siciliana. Fermiamo qui la macchina. L'aria è intrisa di legno bruciato. Dai camini esce il fumo del riscaldamento domestico e del pranzo domenicale. Non c'è anima viva. Dalla piazzetta dove ci troviamo si allungano due stradine: la prima in piano e l'altra in ripida salita, ai lati le casupole in pietra per lo più disabitate. Dove andiamo? Non abbiamo alcun riferimento. Cominciamo con la strada in piano. Vedo qualcosa di molto familiare: giare di plastica usate come serbatoi di acqua. Qualche abitazione in restauro, altre abbandonate. Odore di stallatico molto simile a quello che ricordo quando da piccolo dai Salesiani scendevo giù a Santa Croce tra ragli di asini, belati di pecore e sugo di astratto. Ma forse è nient'altro che una suggestione. Tra una casa e l'altra spazi vuoti con squarci di azzurro cobalto del lago del Salto, sulle cui acque non posarono gli occhi degli antichi girgentani essendo il risultato di una diga costruita negli anni trenta del novecento.
Alla fine di questa stradina la chiesa di Santa Maria. Due anziani seduti sul gradino assolato di una casa. 'Buongiorno', proviamo a dire, nessuna risposta e nessuno sguardo. Diffidenza accidiosa tardogirgentana o indifferenza islamica? Mah. Procediamo.
Qui per secoli passava il confine tra due stati, quello pontificio e quello di Napoli, Girgenti ne era a guardia. Restano disseminati nel bosco alcuni ceppi di pietra serena con le chiavi di San Pietro da un lato e il giglio dei Borboni nell'altro. Due di essi sono stato rimossi e trasferiti all'inizio della scala che porta alla chiesa parrocchiale di San Sisto, il patrono del paese.
Lasciamo la parte bassa di Girgenti e affrontiamo la salita ripida che porta al vecchio castello. Una contadina esce dalla sua casa bassa e ci guarda stupita. ' Buongiorno signora' - 'Buongiorno a voi' - 'Ma è vero che siete di origini siciliane?' - 'Certo che è vero. Cinque anni fa è stato fatto un gemellaggio con Agrigento' - 'Ah interessante '. Il fiatone per la salita rallenta il ritmo della conversazione. 'Signora, dov'è il castello?' - ' Sopra, vicino alla chiesa, ma resta poca cosa'.
Il castello, quel che resta del castello è importante per stabilire una data certa dell'esistenza di Girgenti qui nel Cicolano. Documenti consultabili all'Archivio di Stato di Rieti attestano la presenza di un castello di Girgenti già nel 1183 assegnato al barone Sinibaldi da re Ruggero. Dunque a quella data doveva già esistere una comunità di origine siciliana. Ma si trattò di una vera colonizzazione o di deportazione? Resta l'interrogativo. Oltre alla scure araba c'è un'altra flebile pista che potrebbe far pendere la bilancia a favore della deportazione. Nel dialetto girgentano per indicare le famiglie importanti si usa il termine 'gheia' che potrebbe derivare dal corrispondente nome arabo col quale venivano indicate le famiglie non convertite all'islamismo e che per questo si sobbarcavano, potendolo fare, tasse onerose.
L'impianto urbano di Girgenti alta è medievale, molto simile alla trama di viuzze, cortili e giardini della nostra Terra Vecchia. Un altro piccolo sforzo, accompagnati dallo sguardo stupito e ospitale di alcuni gatti, e guadagniamo il ciglio più alto della rocca. La visione del panorama è incantevole. Boschi ovunque e in basso di nuovo il lago, adesso misurabile in tutta la sua lunghezza con un solo sguardo. Una stradina corre parallela al ciglio e ci porta alla chiesa di San Sisto. E' come la via duomo di Agrigento, in ridottissime proporzioni, con quel che resta del castello e la chiesa a svettare su tutto. La similitudine ci verrà confermata più tardi quando dal basso guarderemo il ciglione roccioso su cui insiste Girgenti, con la chiesa a vista come la cattedrale di San Gerlando per chi proviene da Raffadali o Ioppolo.
100 persone o poco più. Quasi tutti contadini o boscaioli in pensione. Un gomitolo di case.
Tutto qui? Forse no. Mi dicono che una ricercatrice abbia pubblicato un libro sulla parlata degli abitanti del Cicolano arrivando alla conclusione che il dialetto di Girgenti è unico in tutto il comprensorio, per le sue radici siciliane. Mi dicono che un dolce tipico è la Copeta (Cubaita?) fatto di mandorle e miele. Mi dicono pure che vi sono due feudi che si chiamano Roccarandisi e Arnone. Chissà forse lì... O forse a Malta o in Libia dove mi dicono ci sono altri due paesi che si chiamano Girgenti. Chissà...
L'ultima curva ed ecco davanti a noi il palazzo Iacobelli, signore del luogo da sei secoli, di origine siciliana. Fermiamo qui la macchina. L'aria è intrisa di legno bruciato. Dai camini esce il fumo del riscaldamento domestico e del pranzo domenicale. Non c'è anima viva. Dalla piazzetta dove ci troviamo si allungano due stradine: la prima in piano e l'altra in ripida salita, ai lati le casupole in pietra per lo più disabitate. Dove andiamo? Non abbiamo alcun riferimento. Cominciamo con la strada in piano. Vedo qualcosa di molto familiare: giare di plastica usate come serbatoi di acqua. Qualche abitazione in restauro, altre abbandonate. Odore di stallatico molto simile a quello che ricordo quando da piccolo dai Salesiani scendevo giù a Santa Croce tra ragli di asini, belati di pecore e sugo di astratto. Ma forse è nient'altro che una suggestione. Tra una casa e l'altra spazi vuoti con squarci di azzurro cobalto del lago del Salto, sulle cui acque non posarono gli occhi degli antichi girgentani essendo il risultato di una diga costruita negli anni trenta del novecento.
Alla fine di questa stradina la chiesa di Santa Maria. Due anziani seduti sul gradino assolato di una casa. 'Buongiorno', proviamo a dire, nessuna risposta e nessuno sguardo. Diffidenza accidiosa tardogirgentana o indifferenza islamica? Mah. Procediamo.
Qui per secoli passava il confine tra due stati, quello pontificio e quello di Napoli, Girgenti ne era a guardia. Restano disseminati nel bosco alcuni ceppi di pietra serena con le chiavi di San Pietro da un lato e il giglio dei Borboni nell'altro. Due di essi sono stato rimossi e trasferiti all'inizio della scala che porta alla chiesa parrocchiale di San Sisto, il patrono del paese.
Lasciamo la parte bassa di Girgenti e affrontiamo la salita ripida che porta al vecchio castello. Una contadina esce dalla sua casa bassa e ci guarda stupita. ' Buongiorno signora' - 'Buongiorno a voi' - 'Ma è vero che siete di origini siciliane?' - 'Certo che è vero. Cinque anni fa è stato fatto un gemellaggio con Agrigento' - 'Ah interessante '. Il fiatone per la salita rallenta il ritmo della conversazione. 'Signora, dov'è il castello?' - ' Sopra, vicino alla chiesa, ma resta poca cosa'.
Il castello, quel che resta del castello è importante per stabilire una data certa dell'esistenza di Girgenti qui nel Cicolano. Documenti consultabili all'Archivio di Stato di Rieti attestano la presenza di un castello di Girgenti già nel 1183 assegnato al barone Sinibaldi da re Ruggero. Dunque a quella data doveva già esistere una comunità di origine siciliana. Ma si trattò di una vera colonizzazione o di deportazione? Resta l'interrogativo. Oltre alla scure araba c'è un'altra flebile pista che potrebbe far pendere la bilancia a favore della deportazione. Nel dialetto girgentano per indicare le famiglie importanti si usa il termine 'gheia' che potrebbe derivare dal corrispondente nome arabo col quale venivano indicate le famiglie non convertite all'islamismo e che per questo si sobbarcavano, potendolo fare, tasse onerose.
L'impianto urbano di Girgenti alta è medievale, molto simile alla trama di viuzze, cortili e giardini della nostra Terra Vecchia. Un altro piccolo sforzo, accompagnati dallo sguardo stupito e ospitale di alcuni gatti, e guadagniamo il ciglio più alto della rocca. La visione del panorama è incantevole. Boschi ovunque e in basso di nuovo il lago, adesso misurabile in tutta la sua lunghezza con un solo sguardo. Una stradina corre parallela al ciglio e ci porta alla chiesa di San Sisto. E' come la via duomo di Agrigento, in ridottissime proporzioni, con quel che resta del castello e la chiesa a svettare su tutto. La similitudine ci verrà confermata più tardi quando dal basso guarderemo il ciglione roccioso su cui insiste Girgenti, con la chiesa a vista come la cattedrale di San Gerlando per chi proviene da Raffadali o Ioppolo.
100 persone o poco più. Quasi tutti contadini o boscaioli in pensione. Un gomitolo di case.
Tutto qui? Forse no. Mi dicono che una ricercatrice abbia pubblicato un libro sulla parlata degli abitanti del Cicolano arrivando alla conclusione che il dialetto di Girgenti è unico in tutto il comprensorio, per le sue radici siciliane. Mi dicono che un dolce tipico è la Copeta (Cubaita?) fatto di mandorle e miele. Mi dicono pure che vi sono due feudi che si chiamano Roccarandisi e Arnone. Chissà forse lì... O forse a Malta o in Libia dove mi dicono ci sono altri due paesi che si chiamano Girgenti. Chissà...
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